L’Arte è per l’Arte, non significa essere indifferenti alla vita. Poiché, l’arte è vita e non potrà mai distaccarsi da questa. Quando dico che l’Arte non è di parte, dico semplicemente che l’Arte piuttosto che ragionare in termini di opposti, ragiona in termini di relazioni. E le relazioni sono di tanti tipi. Bateson e la Scuola di Palo Alto ne avevano principalmente individuate due nei loro studi (si veda il testo Naven, scritto nel 1936 da Gragory Bateson e Margaret Mead). Quelle complementari (padrone/servitore) e quelle simmetriche (competizione esponenziale). Se portate alle estreme conseguenze, queste interazioni che hanno pattern comulativi, provocano la degenerazione di un sistema (cellula,uomo,città ). C’è poi però, una terza scelta, che è quella della reciprocità, in cui i processi schismogenetici si mantengono in equilibrio, permettendo al sistema di non degenerare. Ed è questa terza scelta che io (come Gragory Bateson

faccio ricadere nell’ambito dell’Arte. Ossia, esistono dispositivi culturali che permettono alle parti in campo di dialogare/competere senza degenerare necessariamente. Il gioco, il rito, l’umorismo, l’arte per l’appunto. L’educazione ad una visione della vita che vede il sacrificio, la sofferenza, la competizione come uniche modalità di stare al mondo, produce sistemi degenerati se non controbilanciati da una didattica del piacere, del desiderio, della bellezza. Questo, come ovvio, non necessariamente significa educare alla storia dell’arte, poiché, la scienza, la matematica, come il calcetto, sono degni della stessa importanza se inscritti in questa dimensione catartica di stempero, disinnesco della miccia.